La nota politica

 
 
 

 

 

Letta D’Arabia

Possiamo solo più sperare negli Emirati

Giusto un emiro di Abu Dhabi, può credere che la crisi italiana sia finita, come non ha mancato di dire ancora il premier Enrico Letta, il weekend scorso. D’altra parte, almeno per una volta, l’ottimismo del presidente del Consiglio era giustificato, trovandosi ospite di una città che da sola possiede il 10 per cento delle risorse petrolifere del mondo. Per gli emiri la nostra crisi è una bagatella, l’occasione magari di prendere possesso di Alitalia, che per chiunque altro sarebbe un’operazione finanziariamente rovinosa, per gli sceicchi, invece, un’eccezionale opportunità. Se il governo se ne sbarazza una volta per tutte, fa la cosa giusta. E’ doloroso perdere una compagnia di bandiera, ma per poterla mantenere, bisognava per lo meno sapere amministrarla, una cosa che negli anni abbiamo dimostrato di non avere la più pallida idea di come fare. E visto i debiti di Alitalia, e la disponibilità di Poste italiane a ricapitalizzarla, speriamo che gli emiri si comprino l’una e l’altra, anche se l’altra al ‘60 per cento rimarrebbe proprietà dello Stato e quindi non si capisce dove starebbe l’affare nel prendersi le quote restanti. Alitalia è comunque un vettore di peso nel mondo, capace di attrarre anche solo grazie alla nostra emigrazione, una popolazione pari a quella degli Emirati arabi, smaniosi di sviluppare il loro turismo. Ma salvo le necessità di promozione del nostro marchio fra gli emiri, il presidente del Consiglio conoscerà i dati della Banca d'Italia, dell’Istat e del Cer. Tutti confermano la sensazionale eccezionalità della crisi che francamente nessuno, esclusi i ministri Saccomanni, Zanonato e Giovannini, pensa di essersi lasciato alle spalle. Nel 2012 la ricchezza netta pro capite del paese è regressa ai livelli del 2002, perdendo, rispetto al massimo raggiunto nel 2006, oltre 18.000 euro a testa. Non fosse sufficiente una stima del genere, il governo è riuscito, rispetto agli iniziali 1,6 miliardi di entrate previste dalla Legge di Stabilità per il periodo 2014-2016, ad aumentarle fino a oltre 4 miliardi. Un incremento di quasi il 120%. Ora se qualcuno degli illustri ministri del governo riesce a spiegarci come sia possibile considerare una crisi finita, quando diminuisce la ricchezza procapite e pure in presenza di un aumento sconsiderato dell’imposizione fiscale, gliene saremmo grati. E’ vero che c’è una crescita della produttività, lo 0,5 per cento da quest’anno, ma questa segue un calo di 9 punti percentuali del Pil avvenuti nei soli 5 anni precedenti. Ci vorranno vent’anni per tornare ai livelli del Pil del 2006 e nel mondo bisogna fare i conti con paesi come la Cina, dove il Pil cresce di 7 punti percentuali all’anno. La verità è che con le nostre famiglie più povere, i consumi fermi, la disoccupazione in aumento, il governo finora è stato solo capace di continuare ad utilizzare la leva fiscale per far quadrare i conti pubblici. E visto che di riforme non ce n’è traccia nemmeno nelle intenzioni, possiamo solo più sperare negli arabi.